giovedì 4 marzo 2010

Gli artigiani e l'apprendistato

Tra le agenzie formative e le aziende spesso emergono gli stessi problemi che esistono tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro.

Questo avviene anche se molte Agenzie Formative sono emanazioni di settori del mondo del lavoro e, come tali, ambiscono a soddisfare le esigenze delle aziende che considerano loro clienti privilegiati.

Le osservazioni sull’inutilità dei corsi d’apprendistato, così come sono emerse dalla pagina sull’artigianato, sono un esempio concreto per spiegare le oggettive difficoltà che sorgono tra datori di lavoro, apprendisti ed operatori della formazione.

Ovviamente non mi riferisco a situazioni in cui l’apprendistato serve soltanto alle Agenzie per attingere finanziamenti, ma in tutti quei casi dove si spendono risorse, impegno, professionalità e lavoro per fare formazione nei corsi esterni all’azienda. Si tratta di situazioni dove nonostante l’impegno di chi fa formazione la realtà è spesso quella di aziende che rifiutano a priori ogni partecipazione e mandano gli apprendisti informandoli che andranno in solo a perdere tempo.

Chi scrive è figlio di un sarto e pertanto è stato allevato ed ha vissuto e a contatto con la realtà di un’azienda artigiana e con la necessità di insegnare ad altri il mestiere.

I miei ricordi risalgono ad un periodo compreso tra la metà degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta.

E oggi?

Oggi siamo un una realtà differente e quei modelli non sono più proponibili.

C’è qualche cosa che allora non c’era: un percorso di conoscenze maturato nei decenni a venire; una società radicalmente trasformata e in continua evoluzione socioeconomica; il bisogno di possedere innumerevoli vocabolari per leggere, nella stessa realtà, infinite situazioni parallele e tra loro spesso molto differenti. Situazioni che solo fino a pochi anni fa non erano neanche lontanamente ipotizzabili. Questo mondo ci chiede adattamenti continui mai sperimentati prima.

Se rimaniamo nell’apprendistato e nella situazione artigiana, scopriamo quello che resta del tempo andato, come ad esempio l’ambiente di lavoro, la bottega come unico ed insostituibile luogo per imparare il mestiere. Un luogo antico ma insuperabile ancora oggi.

Ma sono lontani gli anni in cui si diceva che il lavoro poteva essere la scuola alternativa. Don Milani, ad esempio, effettuò un faticoso viaggio tra i pregiudizi che negavano alcuni diritti fondamentali portandoci a riflettere su quanto la scuola sia un diritto assoluto di tutti e quanto il lavoro non possa sostituire questo diritto di apprendere e conoscere.

In particolare, proprio il progredire della conoscenza scientifica ed umanistica più recente ci descrivono uno scenario inaspettato: la capacità di apprendere durante tutto l’arco della vita. Per apprendimento in questo caso non si intende soltanto l’addestramento a nuove manovalanze, ma anche e soprattutto l’acquisizione di abilità cognitive o l’esplorazione di talenti personali, caso mai, neanche sospettati. Sono necessità che si stanno affermando tra la gente adulta, ad incominciare proprio dagli apprendisti, indipendentemente dal titolo di studio posseduto.

Per soddisfare simili esigenze non serve al giovane chiudersi nella bottega artigiana o nell’officina anche se soltanto queste, possono insegnare il mestiere.

Oggi sia l’imprenditore artigiano che il giovane apprendista devono maturare una nuova idea;

un orientamento educativo che non può essere soltanto addestramento o formazione tecnica al lavoro.

E’ tramontato il mito del mondo imprenditoriale che pensava di crescere adattando le persone alle esigenze del lavoro, dei mercati. "Trattare le persone da oggetti per renderle malleabili al lavoro organizzato dai detentori del capitale", è ormai un tema obsoleto, anche se stranamente emerge quando si parla di coinvolgere i lavoratori in percorsi più incentrarti sui temi del saper essere che del saper fare. Oggi esiste un bisogno sociale di imparare a percepirsi prima di tutto come persone, poi anche come lavoratori. Ed è l’attuale realtà dei sistemi economici che spiega questi bisogni. Le crisi del capitalismo toccano ognuno di noi direttamente. Si perde il lavoro e bisogna adattarsi ad altro, ad attività anche molto diverse dalle abilità professionali apprese in precedenza. Così, se non si costruisce in modo permanente una cultura personale forte, si corre il rischio che non ci sia altro spazio alla disperazione e alla solitudine del percepirsi soltanto un lavoratore accantonato.

Servirà forse ricostruirsi più volte cammini di vita come persone libere che sappiano recuperare il tempo per auto-costruirsi personali percorsi di conoscenza.

Rileggere la storia del pensiero, elaborare personali concetti, saper esporre idee con parole chiare, sono soltanto alcuni elementi che appena poco stimolati emergono nei giovani apprendisti, come bisogni inespressi e da scoprire, utili a crescere prima come persone, poi anche come lavoratori. Purtroppo non sono la bottega artigiana o l’officina che possono permettersi il tempo per queste fatiche.

Forse è su questi confini di educazione della persona nella sua globalità che il mondo artigiano e delle imprese in generale deve trovare motivazioni per ripensare percorsi di formazione fortemente innovativi ed incentrati sull’individuo. E, caso mai, orientarsi, come sta avvenendo in tutta Europa, ad allargare questo ambito educativo a tutte le età dei lavoratori.


Piero R.

venerdì 19 febbraio 2010

Modelli culturali per la formazione

Esistono vari altri modelli culturali, non esportabili, ma forse adattabili ad altre realtà.
I paesi scandinavi poggiano il loro welfare occupazionale su tre pilastri: servizi all'impiego, formazione e ammortizzatori sociali.

Anche noi facciamo, più o meno, così, ma il modello scandinavo funziona con più efficienza; probabilmente perchè c'è uno scambio virtuoso tra la flessibilità del sistema e una grande sicurezza dei lavoratori.

In Danimarca, 1/3 della popolazione cambia lavoro ogni anno e non c'è neppure una legge sulla giusta causa del licenziamento. Ma il problema non è sentito. Chi perde il lavoro, sa di poterne trovare un altro, si aspetta di essere aiutato a trovarlo e può comunque godere di un'indennità di disoccupazione che oscilla tra il 70% e l'80% della retribuzione precedente. Ma prima di reinserirsi, il lavoratore sa che dovrà seguire un percorso di formazione.

In Italia invece, è previsto per i lavoratori in cassa integrazione la partecipazione a percorsi formativi e di riqualificazione, con relativo sussidio, ma è contemplata la possibilità di interropere il tutto non appena si viene richiamati sul lavoro. La formazione, in questo caso, appare più che altro come un riempitivo.

Piero R.

mercoledì 3 febbraio 2010

L'educazione in età adulta inizia con l'apprendistato

"Il/la tutor aziendale è il/la responsabile del percorso di formazione sul lavoro dell'apprendista e della continuità/coerenza tra la formazione interna ed esterna dell'impresa". (Manuale del Tutor - Regione Piemonte)
E' welfare. Il diritto-dovere di tutti a partecipare ad una comunità che pone al centro il bisogno di conoscenza che si prolunga oltre gli anni dell'educazione scolastica.
Gli adulti che lavorano, con i loro compiti ben precisi, devono reinventarsi, in azienda, un ruolo nuovo, parallelo: devono diventare operatori dell'educazione in età adulta.
I giovani che entrano nel mondo del lavoro, freschi di scuola, devono partecipare ad un percorso di crescita globale: un'educazione all'essere persona.

Piero R.

mercoledì 27 gennaio 2010

L'invenzione di don Bosco

La formazione dei giovani, forse neanche don Bosco la inventò solo come un luogo per imparare un mestiere. Forse con questa scusa, Don Bosco insegnò ai bambini, ai ragazzi, ai giovani derubati di tutto, un vocabolario per leggere e capire le loro strade di dignità individuale e collettiva. Insegnò loro ad essere uomini, prima che lavoratori o manovali.

Forse per don Bosco, l'apprendistato al lavoro fu subito un apprendistato alla dignità di vivere, una scuola di altissimo livello non sulla dignità che si deve conquistare con il lavoro, ma sulla dignità come diritto di nascita, inalienabile per ogni individuo.

Don Bosco forse oggi proverebbe una sana indignazione nel vedere trasfigurata la sua idea geniale, divenuta un bieco mercato dove gli affari hanno rimpiazzato ogni genuino impulso al miglioramento della società e della condizione umana.

Piero R.

giovedì 21 gennaio 2010

Scuola e azienda

E' in azienda che si impara il mestiere. Non è possibile raggiungere questo obiettivo altrove. La formazione esterna all'azienda deve dunque intervenire come integrazione ai saperi ed alle pratiche aziendali.

La formazione fuori dall'azienda, se non è addestramento specialistico, deve cercare di privilegiare la crescita dell'individuo intero. I contenuti devono indubbiamente essere attinenti al mondo del lavoro, ma è necessario che il fine sia maggiormente rivolto alla costruzione di idee e concetti.

Il luogo della formazione esterna è ideale per lavorare sul "saper essere", ma voler imitare in un luogo diverso dall'azienda ciò che si fa sul posto di lavoro, rischia di essere una perdita di tempo.

Piero R.

martedì 19 gennaio 2010

L'adulto e la conoscenza

Con gli adulti che lavorano, può succedere, talvolta, di constatare la debolezza delle conoscenze teoriche di base, quelle che normalmente si dovrebbero apprendere nel periodo della scuola dell'obbligo.
A queste lacune scolastiche di base, quasi sempre si associa una debolezza di organizzazione delle idee, dei pensieri e della capacità di adattarsi alle situazioni.
Tutto ciò risulta aggravato, soprattutto nel giovane, dalla comoda convinzione, rinforzata da una certa cultura aziendale, che per molti mestieri sia sufficiente possedere nozioni elementari, costituite da limitati codici linguistici e scarsa varietà di idee.

Piero R.

giovedì 14 gennaio 2010

Due parole sull'apprendistato

Il Manuale del Tutor della Regione Piemonte, deve essere il primo documento di riferimento per tutti coloro che operano nel settore dell'apprendistato: tutor aziendali e formatori.

L'applicazione pratica degli argomenti del Manuale, fa emergere alcune specificità. La prima è quella che individua gli ambiti educativi in azienda e nei corsi esterni.

In realtà, nella pratica della formazione si nota quanto, in azienda, si persegua soprattutto l'addestramento al lavoro. E' prioritaria la figura del lavoratore. Nei corsi di apprendistato esterni si pone invece al centro del processo educativo la persona, che in azienda è anche lavoratore.

Inoltre in azienda, anche se il processo non è strutturato, è in realtà più assimilabile all'istruzione scolastica. L'apprendista deve imparare un'attività ed alla fine viene valutato su quanto ha appreso.

I formatori esterni promuovono, invece, l'educazione partecipata e cercano soprattutto di suscitare il piacere della conoscenza in sè. E' più il perseguire la crescita della persona intera e non soltanto del lavoratore.
Piero R.